Il passaggio al digitale sta comportando una sorta di disinteresse per tutto ciò che è analogico. Questo processo di trasformazione, purtroppo non è succube di una eccessiva fiducia nei mezzi digitali. Un esempio lampante è quello riportato da Robert Darnton, il quale denunciava in uno dei suoi saggi, come in America a metà del secolo scorso si procedesse con una sorta di pre-digitalizzazione, utilizzando delle diapositive per salvare dei vecchi libri. Questo per paura che la carta non potesse sopravvivere ai successivi cento anni. I libri di carta vennero copiati su pellicola con un grandissimo costo economico e umano e poi vennero distrutti. Le pellicole attualmente sono in stato di degradazione mentre, quei pochi libri rimasti, sono ancora integri e consultabili. C’è da chiedersi se questa spinta tecnologica non sia stato l’ennesimo autogol dell’essere umano, che, in preda ad una febbre industriale, applica inconsciamente le regole di ogni sistema industriale: prima si guadagna per distruggere e successivamente per costruire.
La domanda da cui partiremo è: e se tra cento anni non dovessero esistere più le fonti primarie su carta o pergamena? Il circolo vizioso della domanda e della offerta interviene infatti anche in questo campo: rimane la parte più difficile della scienza scoprire cosa è causa e cosa è effetto. Sarà per disinteresse generale? Sarà perché la fiducia nella tecnologia raggiungerà livelli mai visti prima? Sarà per via di interessi economici che spingeranno per la digitalizzazione? In ogni caso non è da escludere una situazione del genere e tutte le problematiche che essa può comportare.
Se si digitalizzassero tutte le fonti primarie in nostro possesso potremmo salvare la conoscenza storica, come se si trattasse di una sorta di Arca, in cui tutto ciò che è importante viene salvato. In parte già è così, e fortunatamente la digitalizzazione delle fonti, e in qualche modo anche l’avvicinamento del metodo storico alle persone non specialiste, sta avvenendo in maniera piuttosto spedita. Se però una fonte primaria di tipo analogico venisse manomessa, ecco che equipe di esperti se ne accorgerebbero facilmente, avendo a disposizione un oggetto fisico che ha su di sé i segni del tempo e delle mani che lo hanno toccato.
Non vi è modo invece per stabilire se un file digitale sia stato modificato o meno se non si ha un metro di paragone. Per intenderci, proviamo a pensare ad un evento storico recente come la caduta del muro di Berlino. Fino a prima dell’era digitale, per modificare tutte le fonti e nascondere sotto un fatto del genere sarebbe stato necessario un lavoro immane e difficilmente attuabile. Con l’informatica è invece possibile modificare milioni di documenti attraverso dei programmi scritti ad hoc e con l’ausilio di sistemi di intelligenza artificiale. Come in un documento digitale è possibile utilizzare la funzione “cerca e sostituisci”, così potrebbe essere fatto per la parola Berlino, sostituita con la parola Milano.
Ecco che, per lo storico del futuro, la Storia acquisirebbe immediatamente un senso ben diverso da ciò che noi conosciamo, e il muro di Berlino diverrebbe ovunque, e su qualsiasi tipologia di fonte primaria, il muro di Milano. Le possibili conseguenze demistificatrici di tali azioni non hanno la necessità di essere spiegate.
Esiste una funzionalità nell’informatica, che permette di salvare una sorta di istantanea del file in questione, questa istantanea prende il nome di hash. Rimane sempre un grosso problema: chi custodirà questo hash? Chi ci assicura che la fonte primaria digitalizzata non sia stata modificata e successivamente il file hash aggiornato? Queste problematiche, sebbene nel presente passano sembrare dilemmi da cospirazionisti, debbono essere considerate da chi riconosca l’inestimabile valore dello studio del passato e abbia come aspirazione l’amore per la verità.
Lo stesso Internet Archive, che svolge un lavoro egregio e indispensabile, è in realtà una soluzione completamente centralizzata e che non ha, al momento, tentato di porsi al riparo da queste problematiche. Cosa succederebbe se, tra cento anni, il presidente (o imperatore!) di turno, ordinasse all’Internet Archive di eliminare qualsiasi pagina internet che contenga la parola ‘pomodoro’? Il frutto in questione smetterebbe di esistere.
La soluzione a ciò è data dalle blockchain che permettono, non solamente di salvare l’istantanea dei file delle fonti primarie, ma di collegarle l’una all’altra in modo che, modificandone una, nel mezzo cambino anche tutte le altre, rivelando così la manomissione. La decentralizzazione delle blockchain, attuata tramite un sistema di replicazione, permetterebbe di avere una ridondanza contro eventuali catastrofi ambientali o colpi di mano.
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