C’È LA GUERRA, C’È LA GUERRA!
Si riempiono le pagine dei giornali e ognuno ha la propria da dire. C’è chi sa gli sviluppi futuri e descrive l’avanzata delle truppe metro per metro. C’è chi si incazza con Putin e chi con Biden, chi santifica l’uno e demonizza l’altro. Ma la guerra, se dovesse esserci, l’abbiamo voluta tutti. Non si producono armi con l’intento di non utilizzarle, e la promessa di adoperarle solamente per la difesa è una bugia credibile solamente da un bambino. Le guerre del passato, anche quelle che sappiamo bene essere state guerre di conquista, sono quasi sempre state presentate come guerre di difesa, o d’aiuto nei confronti di poveri alleati bistrattati dal nemico.
L’opinione pubblica si forma sui giornali e su questi v’è scritto in piccolo, da quando sono stati inventati, che più si è ricchi e più si ha ragione, e in grande v’è scritto che se c’è una guerra si ha – noialtri – cento volte più ragione. La guerra, se ci sarà, ha come mandatari chi non ce ne ha parlato mai male, e che in qualche modo ci ha mostrato il lato più avventuroso e divertente: film, videogiochi, romanzi. Lì la guerra la vorremmo fare tutti, e torna ad acquisire quella dimensione rigeneratrice che aveva precedentemente alla prima guerra mondiale.
E se ci sarà la guerra è colpa anche dei professori, di storia dico, che tanto si sono soffermati sulle date e sugli anni, sui nomi dei generali e i campi di battaglia, e che poi, infine, hanno scambiato un sei con mezza paginetta imparata a memoria. Eppure, se avessero voluto raccontare la storia, le guerre e le ingiustizie, forse era più congeniale il presente: la gerarchia scolastica, formata sulle stesse orme di quella militare; la presenza di un solo maestro nell’aula e una moltitudine di esserini inermi, i quali debbono ubbidire e soffrire; la società profondamente incoerente in cui viviamo: se sulla Carta tutti siamo uguali, cos’ha da dirci la realtà, se non che è tutto un profondo inganno?
E poi c’è chi minimizza, chi dice che la guerra non si può più fare, che le armi sono ormai troppo potenti e che può esserci al limite una scaramuccia. Sul manuale di storia contemporanea v’è però scritto che anche nel secolo scorso gli storici militari pensavano ciò, ma, – e anche questo è scritto lì – si era sottovalutata la stupidità umana. Quest’ultima non andrebbe mai sottovalutata perché è devastante e porta, ahimè ciclicamente, morte e distruzione.
La stupidità umana è anche quella cosa che porta a cercare di combattere ciò che odiamo con gli stessi mezzi dell’avversario, trasformandoci in esso e dandoci l’illusione di essere sempre dalla parte del giusto. E così talvolta anche gli antimilitaristi vogliono combattere e lottare, e lo fanno militando in un partito e guai a disertare la manifestazione. La nostra società è ricca di incoerenze e la figura del disertore ne è un esempio: non condannavamo la guerra? E se sì, la figura del disertore avrebbe dovuto essere in ogni piazza, a testimonianza che, anche quando vengono a prenderti a casa per trascinarti al fronte, vi è sempre una scelta, e, chi non dice di no, dice di sì.
Nel nostro presente si lasciano le corone sugli altari della patria, si bruciano incensi ai caduti, senza che si chieda loro cosa ne pensino di tutto ciò. Sfruttati, sradicati alla vita, uccisi da stranieri loro pari, non hanno nemmeno avuto la soddisfazione d’essere stati gli ultimi caduti del mondo, di essere i fautori della pax eterna.
Per chi volesse scrivere la storia ora, e dir ciò che accade e cosa no, purtroppo non v’è altro da fare che attendere, perché poco si sa e quel poco è, con buone probabilità, sbagliato. La propaganda vi è sempre in tempo di guerra, da un lato come dall’altro, e bisognerà aspettare che la bufera si diradi per constatare i danni fatti. Certo è, e non serve aspettare la desecretazione dei documenti, che in ogni guerra a guadagnare è chi è ricco e la guerra non la fa, e a perdere è sempre il popolo che da essa viene decimato.
Mi ha detto un tipo che il popolino dovrebbe chiedersi se ha senso, ogni volta, uccidere e farsi uccidere per conto di chi indossa camicie e scarpe lucide, per poi tornare, in tempo di pace, a stirarle con le membra mutilate e a lustrarle con la lingua. Il popolino dovrebbe chiedersi se non sia il caso, una volta imbracciato il fucile, di voltare le spalle al fronte e con calma, molta calma, mirare a quel gran pennacchio rosso, sotto le cui piume svolazzanti v’è il viso barbuto di un ufficiale di carriera, e, infine, premere il grilletto.
O meglio ancora sarebbe il deporre le armi, e rifiutarle sempre, perché anche se per portare la pace, esse sono la guerra. E non importano i colori e nemmeno le ideologie, violenza chiama violenza e con essa finisce l’umanità.
A chi si indignasse, e gridasse che costui è un vigliacco, un disertore o un anarchico, si risponde con facilità: poiché senza la gerarchia non si può fare la guerra, e con la gerarchia essa è una costante, il popolino ne guadagnerebbe ad aver più vigliacchi, disertori o anarchici perché son gli ingredienti per vivere in pace.