Maria guardava le nuvole. Ve n’erano di ogni forma, raggruppate e sparse. Fra le nuvole splendeva la luna, la quale, in maniera quasi prepotente, nascondeva con la sua luce la maggior parte delle stelle. Presto sarebbe venuto il vento e l’aria era elettrica.
– Cosa fai? – le chiese Armando.
– Mi godo le nuvole, finché ci sono. – rispose Maria.
Le nuvole non sarebbero state sempre lì, se ne sarebbero andare portate via dal vento. Erano nuvole come le altre, eppure uniche nelle loro forme. Ogni istante era la prima volta che nel mondo c’era quella combinazione di fattori: era la prima volta che quelle foglie erano ferme, che v’era quella temperatura nell’aria; era la prima volta che si vedeva il cielo in quel modo; era la prima volta che lo osservavano dopo tanto tempo. Il cielo però era sempre stato sopra di loro, e, quelle nuvole, erano sempre state al mondo: erano le acque di un bacino, poi erano evaporate e avevano viaggiato.
– Chissà quante persone han visto queste nuvole? – si chiese Maria.
– Forse nessuno. – suggerì Armando.
– O forse tutti. – disse Maria. Vi fu una forte raffica d’aria.
– Si muovono! – disse Armando, come se fosse una cosa sorprendente.
Una finestra sbatté, Maria andò a chiuderla. Era la prima volta che sbatteva quel giorno, eppure quante altre volte era successo! Maria era giù, parlava poco, fumava molto. – Le nuvole mi stressano, ora coprono persino la luna. – Chiuse la tenda con uno scatto, fuori tuonò e si udì uno scroscio di pioggia. L’acqua lavava i tetti, le strade e le automobili giù in strada. Maria abbandono la testa all’indietro. I suoi capelli scendevano lungo la testata del divano, i suoi occhi fissavano il soffitto. Armando guardò le nuvolette di fumo nella stanza chiusa. Erano così dense che avrebbero potuto cominciare a piovere, pensò. Delle gocce in qualche modo scesero, poiché gli occhi di Maria erano bagnati. Fuori tuonò.
– Perché piangi? – le chiese Armando.
– Piango perché ovunque vi sono nuvole, è un tormento. – la sua voce era normale, dolce. Il tono però si contorse mentre proseguiva. – Non c’è luogo ove non vi siano le nuvole. Il fatto che sian sempre lì, a coprire il sole o la luna mi mette tristezza. È un senso d’impotenza e non so con chi prendermela. Se solo ci fosse un posto senza nuvole, ma non c’è! Se lo sai dimmelo, ci voglio andare. – E qui rise. Poi interruppe Armando, che stava per dire qualcosa. – So quel che vuoi dire, ovvero che poi ci sarà l’arcobaleno, che le nuvole se ne vanno, e che è così che funziona il mondo. Lo so. –
– Hai detto tutto tu. – disse Armando alzando le mani.
– So che l’avresti detto, ti conosco. –
– Ma non l’ho detto, e qui sta il bello. Avrei potuto dirlo, sai che lo penso, ma il fatto che l’abbia detto tu… È proprio come funziona il mondo! –
La stanza era stata illuminata parecchie volte, i fulmini trovavano il modo di passare dagli spiragli lasciati dalle tende. Un tuono, due tuoni, tre tuoni. A ogni boato un sussulto, in un frastuono crescente. Le nuvole erano arrabbiate.
– Vedi, le fai incazzare, ora faran cadere la casa. – disse Armando. – Adesso è colpa mia… E se dovessimo esser grati alle nuvole? –
– Di nuovo con le tue cose, l’arcobaleno, etc. ? –
– Già, è vero. Ma l’arcobaleno ci sarà. Lo neghi? –
– E’ vero, ci sarà… – Maria si perse in qualche pensiero.
– E avrà una forma che non ci potremmo mai aspettare… –
– Qui torni sul filosofico. Non mi piace. –
Nel frattempo però il tempo cambiava. Era tornato il sole ed era stato il vento a portare via ogni nuvola. L’acqua della pioggia era evaporata, gli ombrelli si erano asciugati. Aveva fatto in tempo a piovere diverse volte in quei mesi e a riasciugarsi tutto completamente. Per il resto nulla era cambiato molto, eccetto una facciata di un edificio ridipinta.
– Di nuovo nuvole. – disse Maria. Ma questa volta chiuse semplicemente la tenda e fece finta di nulla.
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