Scrivere un tema dovrebbe essere qualcosa qualcosa di divertente. In questo articolo potrai leggere un esempio di tema sul (non) senso della vita.
Ho deciso di utilizzare questo tema perché ho visto che è molto gettonato, stranamente lo è ben più di un tema sul senso della vita.
Se il tuo professore ti ha chiesto di scrivere un testo argomentativo su questo tema, cerca di non copiare gli esempi presi su Internet.
Pensa a quello che sai, ai pensieri che hai avuto e prova ad esprimerli su carta.
In questo video provo a spiegare come e perché scrivere un tema.
Quando si nasce si dà senso alla vita. I nostri genitori vedono immediatamente un senso, legato agli istinti materni e paterni. Ma possiamo dire, al primo vagito, che la vita abbia un senso per quel piccolo neonato frignante? Se lo ha, verrebbe da dire di primo acchito, forse il bambino non lo realizza. Durante l’infanzia la vita la si prende per quello che è. Ci si pongono domande, ma difficilmente ci si chiede cosa sia la vita. Se la vita abbia un senso o quale sia il non senso della vita.
Una volta chiesi quale fosse il senso della vita ad una bambina e lei rispose così: – Il senso della vita è morire. Si vive e poi si muore, quindi il senso è morire. –
Purtroppo non ho mai avuto la possibilità di scoprire se questa bambina fosse particolarmente saggia o se avesse assorbito, a mo’ di spugna per intenderci, i discorsi fatti dagli adulti. Solitamente, nella nostra società e nel nostro ambiente culturale, si affrontano questi argomenti più avanti con l’età.
La vita, non per questo, comincia ad avere un senso. I primi quindici / venti anni di vita vengono passati nelle scuole dell’obbligo. Poi un bivio porta all’università o al lavoro. Chi va all’università postpone di alcuni anni l’entrata in quel gran pentolone chiamato ‘mercato del lavoro’. Ma quanti lavori hanno senso nella nostra società? La risposta che darei è che la maggior parte dei lavori ha poco senso di esistere.
Il Consumismo, cioè quella corrente sociale-economica, nella sua continua opera di costruzione-distruzione, non permette a molti lavori di avere un senso. Un paio di scarpe, un tempo prodotte da un ciabattino con materiali altamente durevoli e facilmente riparabili, era un insieme di tradizioni e abilità tramandate di padre in figlio.
Le scarpe dei brand ‘alla moda’ sono invece un insieme di piccolissimi azioni svolte da cento o più mani differenti. Coloro che le compiono sono seduti su uno sgabello davanti ad una catena di montaggio. La sera rincasano, guardano la TV e dormono. Altre persone, con vite piuttosto simili, si siedono di fronte ad uno schermo e fanno in modo che l’umanità intera abbia bisogno di quelle scarpe ‘alla moda’.
Vi sono guerre tra questi brand ‘alla moda’ per chi si accaparra più clienti, una sorta di proselitismo del consumo che spinge a desiderare, a svalutarsi perché non si è ‘alla moda’ e poi a comprare. Per quei soldi dobbiamo alzarci presto la mattina e raggiungere uno di quegli sgabelli. Se poi saremo di fronte ad una catena di montaggio o ad un monitor, questo lo deciderà la vita e, in particolar modo, le condizioni economico-sociali della nostra famiglia natia.
Se guardiamo la vita così, in cui siamo criceti su una ruota, allora la vita non ha affatto senso. O meglio, il senso, sarebbe proprio quello rivelatomi dalla bambina. Se invece camminassimo a piedi nudi su un prato in primavera e ci fermassimo ad annusare le margherite, oppure da sdraiati guardassimo il cielo e il sole, o gli occhi di qualcuno, la vita avrebbe decisamente senso! Avrebbe senso perché non vi sarebbe alienazione, avrebbe senso perché sarebbe molto più naturale e animale, avrebbe senso perché saremmo senz’altro più felici.
Erich From nel suo libro, L’Arte di amare, parla dell’essere umano e di come si senta parte di qualcosa più ampio e primitivo principalmente in due occasioni: quando ama e s’accoppia e quando costruisce qualcosa con le proprie mani. Se è vero che non possiamo prendere la sua tesi come oro colato, offre però buoni spunti di riflessione.
Con le mani oggigiorno, epoca industriale o post-industriale, ormai vicina a quella della robotizzazione, con le mani poco si fa. Le macchine ci aiutano, ma a quale prezzo? Non si prenderanno in parte anche quel senso della vita che si aveva quando si impastava una pagnotta, quando si tagliava la legna o quando si cacciava con una semplice lancia di legno? Amare è rimasto, per il momento, ma a voler essere corretti, From parla di orge. E allora, quante persone, di quelle sedute sugli sgabelli dell’alienazione, impasta il pane con le mani e poi si dedica ad orge? Non sarà mica questo il segreto del non-senso della vita?
Eppure, fra le mille tesi possibili, ogni tanto mi chiedo se quella bimba non avesse ragione: non è, la morte, l’unica cosa di cui siamo certi? Toto’ la chiamava la Livella, perché ci si passa tutti, ricchi e poveri, donne e uomini, api ed elefanti. Mi chiedo, allora, quale sia il senso, o il non senso, della morte. Non so rispondermi, se non, sulle scia di ciò rivelatomi dalla bambina, che il senso della morte è la vita. Perché sempre moriamo e sempre, com’è vero che il sole tramonta e poi ricompare con l’alba, la vita ricomincia, incurante se vi sia o meno un senso.
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