Se devi scrivere un tema sulla guerra in generale (o sulla pace) sei nel posto giusto. Ho scritto questo tema apposta per darti qualche spunto.
Il mio consiglio è di non leggere direttamente il mio esempio ma di provare a guardare prima questo video.
Ti spiego come scrivo e come credo andrebbe affrontato un saggio breve sulla guerra (o la prima prova all’Esame di Stato).
Il seguente tema non pretende di essere perfetto. Vuole essere un esempio su come, in un testo argomentativo sulla guerra, l’importante sia… argomentare!
Mi raccomando, non copiare il tema ma prova a sviluppare un tuo ragionamento sull’argomento scelto. Solo pensando a cosa rappresenta la guerra per te potrai scrivere le tue riflessioni e i tuoi pensieri sulla guerra.
Testo argomentativo sulla guerra.
Mio nonno partecipò alla seconda guerra mondiale. Di lui so poco, l’ho visto poco e della guerra, fortunatamente, ne so ancora meno. Mi è arrivata voce della fame che c’era ai tempi, si mangiava addirittura la paglia delle sedie! In alcuni film in bianco e nero si può cogliere l’atmosfera. Totò, Sordi e tanti altri hanno provato ad imprimere sulla pellicola come ci si sentiva, qual era l’umore generale, quali erano i problemi di ogni giorno. Certamente vivere allora non deve essere stato semplice. Mancava il cibo, mancavano i propri cari, mancava la libertà di chiedere: “Ma perché stiamo facendo la guerra?”, e magari anche aggiungere: “Io la guerra non la voglio fare.”. Questa libertà, quella di dire che la guerra non ci riguarda, e che se qualcuno la vuole la faccia lui, credo l’avrebbero voluta avere in tanti. Non essere fuscelli portati dal vento ma uomini, uomini nel più vero dei sensi, ovvero di conoscere e pensare, di aver senso critico, uomini che, se son padroni sulla carta del proprio corpo, lo sono anche nella realtà, giorno dopo giorno. A questi uomini è stata invece obbligata una schiavitù terribile.
A coloro che lavoravano, che studiavano, che avevano la fidanzata o gli amici, i fratelli, i padri e le madri, che insomma vivevano la vita, d’improvviso tutto è stato tolto. In cambio è stato dato loro un pacchetto di sigarette, a volte del vino, l’amicizia di altre giovani pianticelle strappate dal proprio terreno, gli spari del nemico. Se è vero che a volte bisogna difendersi e che può accadere che un male sia tanto grande da aver bisogno d’un male più piccolo, è vero anche che il male grande nasce dal nostro modo di vivere, che legittima la gerarchia militare, la leva, la morte per la patria.
Quando i giovani tornano dalla guerra, quando si svegliano nella notte sopraffatti dagli incubi, per quel che hanno commesso e subito, nessuno mostra le menomazioni del loro Io. Si preferiscono coloro che, con una gamba di legno o una benda sull’occhio, possano mostrare che il nemico era agguerrito. Si preferisce chi, milite ignoto, senza che mai potesse essere riconosciuto dai propri familiari, ha la bocca chiusa e non può dire che lui, tutte quelle cerimonie a favore della guerra, non le vuole sentire, non vuole esserne parte. Se potesse, griderebbe: “Vi siete presi la mia vita, lasciatemi in pace nella morte”. Condannato perennemente, sotto forma di caduto per la patria, a dover rendere falsa testimonianza di un’epoca. I film recenti invece esaltano la guerra. Mai si vede la devastazione che porta ai civili, le ingiustizie che li colpiscono, che affrangono i loro corpi e le loro menti.
Si preferisce la contrapposizione buoni-cattivi, in cui i protagonisti, bianchissimi e ovviamente buonissimi, portano la civiltà in luoghi comandati dal terrore e dalle ingiustizie. Questi eroi hanno ideali altissimi, un senso della fratellanza ineguagliabile, un senso dell’onore senza pari e, spesso, dei carri armati, dei razzi telecomandati e dei bazooka potentissimi. Con queste armi di distruzione di massa civilizzano i talebani, uomini che non si capisce bene se siano riconoscibili per via dei loro turbanti di stracci o per il colore della pelle un po’ più scuro del bianco (e quindi, implicitamente, anche più sporco del bianco). Di certo c’è che la guerra, quella vera, in TV non l’hanno mai fatta vedere.
Mi chiedo perché mostrino così raramente gli orrori che ci farebbero star svegli, a noi, giovani nati diverse generazioni in là nel tempo. Mi chiedo perché non si dica che le guerre, prima che il primo fucile inizi a sparare, si combattono con la carta e con la penna. Mi chiedo perché non ci si indigni di fronte ad una guerra che vede come unici vincitori, da entrambe le parti, chi a far la guerra non ci va. Chi vince è il fabbricante di cannoni, di mitraglie e bombe a mano. Chi lavora per lui son le donne e i bambini, gli uomini inadatti al fronte. Chi muore per lui sono i mariti, i fidanzati e i figli. I nomi degli industriali non compaiono sulle lapidi nei centri dei paesini, i loro nomi, e i loro corpi, son ben protetti dal gelo e dai proiettili. Essi riposano nei loro letti costruiti dal falegname ormai al fronte, in case costruite da coloro che ormai son soldati dalle mani callose. La guerra non è mai giusta e se così viene presentata è perché qualcuno non si fa remore a mentire, rare volte ci crede.
“Sconfiggere il nemico!”, “Per la difesa dello Stato!”, “Come combatterono i nostri padri prima di noi!”. E anche oggi, che condanniamo la guerra, che son giorni in cui se ne può parlare, ma è meglio se lo si fa male, io credo che, se mio nonno fosse qui, direbbe che non si è fatto nulla per evitarla. Se domani le ‘ragioni di Stato’ ci fossero di nuovo, alla mia porta comparirebbe una lettera dicendo che lunedì devo andare in caserma. E se dicessi che invece di far la guerra io pensavo, proprio quel lunedì, di far l’amore e leggere un po’ di filosofia, che a far la guerra ci andassero loro, io verrei additato come traditore e lunedì, se non mi presentassi al comando, busserebbero alla mia porta con l’ordine d’arrestare il pericoloso disertore.