Armando guardò l’orologio e vide il proprio riflesso sul quadrante bianco. Il riflesso però non era sul vetro, era proprio sul quadrante e, a guardarlo con attenzione, si accorse che esso non era affatto un riflesso. La sua immagine, il suo viso, era dentro l’orologio e il tic tac della lancetta dei secondi scandiva il tempo in maniera così forte da impedirgli qualsiasi altro pensiero. Normalmente avrebbe pensato alle cose da fare il giorno dopo, oppure a ciò che era successo il giorno prima, o magari a quando era piccolo. Ci sono cose a cui bisogna pensare, perché magari accadranno tra alcuni mesi; altre ancora bisogna pensarci perché se nessuno ci pensa non vi è modo che accadano. Insomma, le ragioni per non pensare al presente sono tante e molteplici; le ragioni per non pensarci, in quel momento, erano proprio quei rumori meccanici che sentiva fortissimi.
Avrebbe voluto pensare a ciò che era, a ciò che avrebbe voluto diventare, essere, ma non poteva. L’unica cosa a cui poteva pensare era quel presente scandito dal tempo e da cui non si poteva fuggire. Così non poté riflettere sui tanti giorni in cui aveva fatto cose inutili, né su tutto ciò che, se avesse sacrificato il cosiddetto ‘tempo libero’, avrebbe potuto fare nel futuro. Per una volta, insomma, non era prigioniero del prima e del dopo, era nel presente, nel ‘qui e ora’. Un ‘qui’, un ‘ora’ che magari poteva ferirlo, con quel rumore assordante poi, sapete… e nel qui e nell’ora provava fastidio, senza sapere bene il perché. Era questo, forse, il prezzo che debbono pagare coloro che vivono nel presente? Armando, che di queste cose mondane si era occupato sempre ben poco, si chiese – nel presente si intende – se non fosse semplicemente disabituato a vivere e quanto tempo ci avrebbe impiegato a divenir bravo in questa attività.
Fortunatamente, mentre se lo chiedeva, scoccò un altro secondo e, come un terremoto, lo scosse dalla testa ai piedi, tant’è che barcollò e per poco non cadde. – Ecco un buon motivo per rimanere nel presente, coi piedi per terra. – Dalla finestra aperta guardò i bambini giocare, i giovani innamorarsi, i grandi parlare e i vecchi osservare con sguardi nostalgici. Si chiese come non essere uno di quei vecchi, che tutto han vissuto tranne la vita. Un secondo dopo, causa forza maggiore, smise di pensare. – Se non mi ricordo che i secondi passano mi troverò per terra. Al prossimo scocco magari cadrò e… – Armando cadde, si fece male e il dolore lo riportò nel presente, in ciò che effettivamente stava vivendo. – È il dolore ciò che mi tiene vivo? – pensò, e quasi volle farsi del male, al fine di vedere se fosse veramente quella la soluzione ai suoi problemi. Problemi che, a pensarci bene, si portava dietro da tanto tempo.
Ma quell’orologio che scandiva i secondi con tanta violenza, ecco, a lui, dei suoi pensieri sul tempo e di tutte altre cose non interessava nulla. Erano pensieri, ma erano solamente pensieri suoi, non c’era nulla di vero o reale, né nelle fantasie e né negli ostacoli che si creava: c’era solo amarezza per non riuscire a vivere il presente. Ma l’amarezza stessa non poteva venire dal presente, essa infatti scaturisce solamente dal tempo, futuro o passato.
– Basta, basta. – urlò Armando, poiché i pensieri adesso erano velocissimi e riusciva, tra un secondo e l’altro, a commiserarsi. – Basterebbe uscire, andare lì, posso anche io giocare, innamorarmi o parlare. Posso farlo anche io! Oh, se solo non fossi intrappolato in questo orologio, se solo fossi nel presente… – La lancetta dei secondi lo toccò con una stangata e lo scaraventò in un angolo del quadrante.
Si accasciò a terra col capo chino e le mani sporche di sangue. – E’ tardi. – si disse, sentendosi agonizzante e capendo che non sarebbe più potuto andare da nessuna parte. E poi, capendo che sarebbe morto, disse anche il contrario: – E’ presto. – Era presto e tardi allo stesso tempo, così come ogni altro momento che aveva vissuto nella propria vita. Armando si chiese cosa aveva fatto di sbagliato, cosa avrebbe potuto fare di meglio, cosa avrebbe rifatto di uguale. Ma il tempo, il tempo per pensare era finito e gli rimanevano ancora pochi secondi di vita. – E dire che il limite è sempre la mente. – si disse. E la mente, con quel suo pensare incessantemente, era sempre stato il suo più grosso limite. E così, mentre pensava a questo, la lancetta dei secondi scattò nuovamente e, come fosse un fendente di spada, gli mozzò la testa di netto. Armando lo sentì, sentì il dolore, vide la luce e poi più nulla: attorno a lui i bambini giocavano, i giovani si innamoravano e i grandi parlavano.