Era comoda la poltrona su cui ero seduto, era vecchia ma comoda. Come tutto in casa. Quella era stata ereditata forse dalla nonna, ora mancavano alcuni pezzi. Un tempo era stata verde chiaro con delle cordicelle penzolanti, ora le cordicelle mancavano in alcuni punti e le imbottiture si affossavano. Il colore era invece scuro e si vedevano delle macchie di unto.
Ero appoggiato con tutto il corpo sul bracciolo di sinistra, per prendere luce dalla lampada a piantana, la quale era poco spostata rispetto a me. Stavo leggendo Zeno e la luce arrivava di sbieco sulle parole. Ero arrivato a quelle che io chiamavo le frasi oneste, quelle poche righe di confessione e sfogo che gli scrittori buttano dentro fra un mare di invenzioni. Mi sembrava di sentirlo, l’autore, che mi parlava dei suoi problemi a casa o della vecchiaia, era come averlo lì ed era un contatto diretto fra lui e me, a dispetto di tempo e spazio. Leggevo velocemente e poi tornavo indietro sulle parole, per rileggerle e capirle davvero.
Era un brano avvincente, ed ero tutto teso, respiravo poco o niente e scorrevo gli occhi sulle pagine cercando di arrivare alla fine e di svelare il mistero. Mancavano poche pagine ma improvvisamente la luce si spense. Non era la lampadina, non era il contatore e fuori dalla finestra tutto era buio. Maria dormiva ed io uscii di casa a vedere l’oscurità. Avevo ancora il libro in una mano, col dito fra i fogli per tenere il segno; mi avviai per la via buia.
Tutto era spento e tanti dormivano, il silenzio era quasi completo, rotto solo da alcune voci notturne che si lamentavano della mancanza di elettricità. Camminai per tutta la via col solo chiarore di uno spicchio di pallida luna. Cambiai quartiere e poi un altro ancora e tutto pareva immobile e morto. Vidi una luce, una sola, brillante, che splendeva dall’alto di un lampione. Non so perché ce ne fosse solamente uno a funzionare ma era così e mi avvicinai a quel piccolo sole. Sotto di esso una ragazza leggeva, era vestita con una minigonna bianca e una magliettina rossa. Passeggiava avanti e indietro, girava intorno al lampione e vi si appoggiava, era giovane e con due scarpe col tacco da farla spiccare fino al cielo.
<<Mi scusi, posso?>> Indicai il libro, mi avvicinai ancora più sotto e lo aprii. Nell’aria c’era qualche zanzara e la luce era sufficiente per leggere. Sentivo i tacchi della ragazza sul cemento, aveva un passo cadenzato che mi piaceva e mentre voltavo pagina le davo un’occhiata. Quando era di spalle sembrava che la gonnella volesse strapparsi. Quando invece si girava tornavo a Zeno, anche se ora mi sembrava molto meno avvincente. La ragazza mi distraeva, quella gonna, quella maglietta attillata, quei capelli bruni con sprazzi di biondo… persino come sfogliava le pagine aveva un ché di provocante. Finii il libro, ma il finale era scialbo come pochi.
<<Vuoi fare a cambio?>> era stata la ragazza a parlare. <<Io questo l’ho già letto tre volte e mi stufa.>> <<
<<Va bene.>> dissi io, e le diedi La coscienza di Zeno. Presi dalle sue manine con le unghie smaltate un libretto di Bukowski, uno di quelli tutto donne ed alcol ed aprii la prima pagina. Forse la delusione data dal finale, forse le zanzare o forse il bianco della gonnella, mi avevano levato la voglia di leggere. Fissavo la giovinetta e quella di rimando mi ammiccava. Nemmeno lei aveva cominciato il libro, l’aveva sfogliato rozzamente e poi se l’era tenuto sul fianco.
<<Ne’, vuoi mica fare all’amore?>> mi domandò tutta micia.
Io? Io avrei fatto l’amore tutta la vita e con tutto il mondo, pensai.
<<Ma li hai diciott’anni? >> le chiesi?
<<Tu li hai i soldi?>>
<<No che non li ho.>>
<<Uff. È che sembravi un timidone, uno di quelli che si avvicinano e non hanno le palle per chiedere.>> <<No, no davvero. Come ti chiami?>>
<<Sonia.>>
<<E stai sempre qui?>>
<<Più in là, di solito. Ma non c’era luce e son venuta qui a leggere.>>
<<Io abito laggiù…>>
<<Aspetta un attimo. Che vuoi bello?>> Si voltò.
Si era accostata una macchina ed ora Sonia sembrava una gattina. Era tutta fusa e sensualità e mancava poco che miagolasse. Salì a bordo dell’auto e mi fece un saluto con la mano. <<Sonia… Sonia… ma il mio libro?>> le gridai. <<Passa a prenderlo un’altra volta!>> gridò lei sbattendo la portiera.
Rimasi solo, mentre tutto intorno era buio e solamente sopra di me splendeva il lampione. Aprii nuovamente il libro che mi aveva dato e cominciai a leggere. Ma che strana sensazione mi si era infiltrata sotto la pelle, come se mi avessero appena fregato la ragazza. Ci stavo chiacchierando io e me l’avevano soffiata così da sotto il naso. E per andare a fare l’amore!
<<Sonia, torna qui, vieni qui. Stai con me!>> Ma ormai la macchina si era allontanata e ne vedevo i fari rossi e lontani, unici lumi nella notte.
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