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Te lo immagini un uccellino sull’albero? (racconto breve)

– Ti immagini un uccellino sull’albero in cima alla collina, che guarda giù e ci vede piccoli piccoli? –

– Anche se vola ci vede piccoli piccoli. – dissi io.

– Sì, ma se vola noi lo vediamo. Piccolo piccolo dico. Se è sulla collina immagino si sia posato sul ramo di un albero. Ci guarda e noi non lo vediamo. O sì? –

L’uccellino c’era per davvero, ma noi non lo vedevamo, continuavamo a guardare il cielo, le nuvole e mi chiedevo perché non fossimo lì tutti i giorni , all’aria aperta a guardare il sole e le nuvole, ad annusare il profumo dell’erba cosparsa di fiorellini azzurri, purpurei.

Una vita così, nel verde, senza pensieri, senza preoccupazioni, senza dover per forza mettere una sveglia che ci ricordi di fare cose. Cosa poi? E per quale motivo? Tutto quello che volevo era lì con me sul prato: gli alberi, il cielo, le nuvole e i suoi occhi azzurri. C’era davvero qualcosa che mi avrebbe potuto rendere più felice? Una macchina nuova? Un computer più potente? Una casa più grande? Guardai gli occhi azzurri che mi seguivano in ogni pensiero, come se fossero dentro di me, come se sapessero proprio cosa stavo pensando in quel momento.

Che giornata strana, che aria strana, che nuvole inusuali, che aria diversa. Forse perché durante la settimana ero in ufficio, forse perché l’aria sapeva di condotto, di ventola, d’aria condizionata. Che colore strani i suoi occhi, l’azzurro dico, era più vivo, era meno opaco, o forse non era il colore, ma la vita che in quel momento vi brillava: forse perché li vedevo solamente rischiarati dalle luci al neon? E le nuvole, il cielo, tutto mi sembrava così aperto, così indiscreto e intimo. Si lasciavano osservare come voyeur, senza pudore. Forse perché di solito erano nascoste dai palazzi alti, una sorta di biancheria cittadina.

Le nuvole senza pioggia sembravano ridere, trascinate dal vento come un bimbo dal padre che giochi con lui. E i padri, nei parchi, e i bimbi, che si inseguivano: che cosa strana, forse perché non li avevo mai visti, forse perché non ci avevo mai fatto caso. E le signore di mezza età, e le ragazze giovani, i fidanzati in bibicletta, gli uomini col cane al guinzaglio e il giornale sottobraccio. Le panchine piene, far l’amore di mattina perché tanto non c’è fretta. E quando mi sedevo per lavorare e di volta in volta lei mi carezzava la spalla, i suoi occhi azzurri mi massaggiavano la nuca con lo sguardo, poi mi distraevo e finivamo sul divano. Poi nel parco, a passeggiare, a raccontarci di come fosse bella Milano. Bella perché si vedeva il cielo, e le nuvole volavano via e le persone passeggiavano e i padri per mano con i bimbi. Ce lo dicevamo mentre guardavamo il mondo.

– E se un uccellino ci guardasse ora, non direbbe che siamo felici? – le chiesi.

– Se un uccellino ci guardasse direi di sì. –

– E allora perché non possiamo essere felici sempre? –

– Ma non si può essere sempre felici, lo sai Armando. –

– E se ci avessero mentito? E se si potesse? Sai, è che non mi fido mai, ho bisogno di provare le cose, ho bisogno di capirle da solo. Come faccio a fidarmi di qualcuno che non è mai stato felice, come posso seguire i suoi sogni, se ne ha? La verità, la verità per me, sia chiaro, è che mi manca poco tempo. Potrei morire oggi, domani, tra vent’anni. E voglio essere felice e per essere felice mi basta poco. Un raggio di sole, l’odore di prato, i fiorellini azzurri, le foglie di quercia dell’autunno passato. Manca poco, manca poco e ci sono mille odori da annusare, mille colori da vedere, mille modi per fare l’amore e finiti quelli si ricomincia. C’è che manca poco per passare la propria vita sotto un neon, c’è che se non ce ne accorgiamo ora lo faremo sul letto di morte. E poi saremo tristi per non aver annusato il prato ogni giorno, per non aver visto gli occhi amati che poco tempo. –

– Ma no, non morirai domani, lo sai benissimo che non sarà così. –

– Certo che lo so, ma non mi cambierebbe comunque nulla. E se morissi domani mi andrebbero bene anche le luci al neon, che mai sarà un giorno in più? No, non morirò domani, ed è per questo che mi preoccupo, perché voglio essere felice, intendo tutti gli anni che restano. –

– Sii felice, cosa ti serve? –

– Te l’ho detto, mi serve l’aria fresca, l’odore di prato, vedere le farfalle svolazzare, annusare le margherite, parlare con te, con gli altri. Te lo immagini un mondo così? –

– Un mondo per folli, Armando, sarebbe un mondo per folli. Tu lo sogni perché sei folle, né più né meno. –

– E allora viva la follia, speriamo che lo diventino tutti, spero vivamente che la gente si accorga del calore del sole, che riveda il cielo dopo tanto tempo, che scopra l’affetto e la luce negli occhi delle persone che ama. Spero davvero che non sia stato vano. –

– Vano? Cosa dovrebbe esserlo stato? – chiese stupita.

– Ma tutto questo, tutto sto caos, sta baraonda, sti media impazziti, le mascherine. –

– Ma niente è mai vano, tutto ha un senso. –

– E se non lo avesse? –

– No Armando, lo avrà. Alle cose inesplicabili è il tempo a dare un senso. –

– E allora mi immagino che il senso sia la felicità. Prendi quel passerotto lì, quello sul ramo, dici che è felice lui, che ha tutti i giorni ciò che per noi è raro? –

– Non credo sappia cosa sia la felicità ma di sicuro sa cos’è la vita. –

Alessandro Oppo

Alessandro è un milanese che vorrebbe scappare da Milano, è appassionato di informatica ma vorrebbe vivere senza telefono, è un artigiano eppure vorrebbe robotizzare tutto, impara una cosa e già vorrebbe studiare dell’altro. Autodidatta da sempre, gli piace sbattere la testa finché tutto non funziona come vuole lui, spesso ci riesce anche! Visita il suo blog personale alexoppo.com Il motto che si ripete dentro la testa è: “Se ci sono riusciti gli altri ci posso riuscire anche io”.

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