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Tema svolto sul bullismo

In questo articolo potrai leggere un esempio di tema sul bullismo che ho scritto.

Spero che la lettura del mio tema svolto possa esserti d’aiuto, non per copiarlo, ma per prendere spunto e capire come sviluppare una tematica importante come quella del bullismo.

Mi è capitato diverse volte di leggere temi che, pur non avendo alcun errore grammaticale, peccavano di personalità e originalità.

Vi invito anche a vedere questo video dove do alcuni consigli pratici su come scrivere un ottimo tema.

Tema svolto sul bullismo

Nell’immaginario collettivo il bullo è colui che ruba la merenda all’alunno più debole. I media lo rappresentano come fisicamente più grande della vittima, magari più grasso, un po’ stupido e che usa la sua forza fisica per sopraffare il debole. Ai giorni nostri, era dell’Internet, si parla anche di cyber-bullismo. Sappiamo infatti che il bullismo può anche travestirsi, un po’ come la violenza: non c’è bisogno che sia fisica perché causi dolore.

Un’offesa, magari gratuita, può rovinare la giornata a qualcun altro. Più offese possono rovinare la vita a quel qualcuno. La vittima spesso non sa cosa fare per non esserne colpita: è colpa sua se, per qualche ragione strana, è proprio lei il bersaglio delle frustrazioni di alcuni suoi coetanei? È colpa sua se magari non può permettersi dei vestiti di marca? È colpa sua se il suo fisico è diverso? È colpa sua se i suoi genitori sono diversi dagli altri genitori?

I motivi per bullizzare qualcuno sono infiniti, ma, cosa interessante, non si bullizza mai qualcuno che viene visto come un pari: si bullizza il diverso, ovvero ciò che non si riesce a capire. I motivi di queste incomprensioni possono essere molteplici e sarà impossibile analizzarle tutte.

Ci si può però addentrare ulteriormente nella questione, analizzando la parte che trovo più interessante e problematica socialmente, ovvero la parte attiva della coppia bullo-bullizzato. La vittima, in quanto tale, ha come unico merito quello di ricadere in alcuni stereotipi sociali. Stereotipi però molto importanti per il bullo, ovvero la parte attiva che compie l’opera.

A questa mia definizione di parte passiva e parte attiva qualcuno potrebbe chiedersi se il bullo, presumibilmente un adolescente, sia o meno consapevole delle proprie azioni. Quanto di ciò che fa, quanto di ciò che sa, è attribuibile alla sua natura più intima, e quanto invece alla società di cui è impregnato? È colpa sua se pensa che avere abiti non alla moda, o un buco sul maglione di lana, sia da ‘sfigati’ e quindi da disprezzare? È colpa sua se crede che una camminata claudicante sia da additare, commentare e prendere in giro? Non si discute qui il suo ruolo, che concordiamo essere negativo per la vittima, ma la questione della colpa: possiamo veramente darla a questo adolescente in maniera tout court?

Un bambino, ma anche un adulto, può essere paragonato ad una spugna che s’imbeve dei liquidi con cui entra a contatto. Da dove derivano quindi le responsabilità: forse dagli amici? Dai genitori? Se su entrambi ponessimo il nostro dito giudicatore, ecco che ci troveremmo nuovamente a non aver risolto il problema.

Esso ci sarebbe infatti scivolato sotto le mani: non sono infatti ‘spugne’ tutte le persone? L’abitudine all’uso della violenza fisica e verbale, alla denigrazione e all’incomprensione delle problematiche sociali, ha un responsabile? Credo che, rispondendo a questa domanda, si potrebbe anche porre fine agli indesiderati fenomeni appena elencati.

È il padre che picchia la madre? Sono le offese tra i genitori? È la mancanza di uno dei due? Sono le serie TV? Sono i videogiochi violenti? È la musica rock? Stereotipi: è purtroppo molto difficile dare una risposta generale, e sarebbe sbagliato attaccare un singolo caso: la maggior parte dei videogiocatori non sono violenti e la grande maggioranza dei figli di genitori divorziati non si trasformano in bulli.

Dove si nasconde l’acciarino che incendia gli animi e li offusca, fino a far loro commettere cose orribili? Se dovessi puntare un dito lo farei sulla sofferenza, perché non credo possibile che la felicità generi violenza. Un individuo felice come potrebbe, volontariamente s’intende, commettere del male?

Si ha quindi l’impressione che un’infelicità di fondo stagni nella società, una società che per modello ha l’incoerenza e i cui antenati fan di nome ingiustizia e prevaricazione.

Se il bullismo fra ragazzi è condannato, possiamo dire che valga lo stesso per il bullismo tra adulti? Fra di essi vi sono infatti forme di violenza legale, magari di tipo economico, che sottomettono e fanno soffrire tanto quanto la violenza dei bulli che tutti conosciamo. Quale differenza vi è tra il rubare la merendina e la speculazione edilizia spinta?

Se nel primo caso la violenza è sotto gli occhi di tutti, anche da un punto di vista legale, ecco che, nel secondo, si fa fatica a puntare il dito contro chi rimuove spazio vitale alle persone, impermeabilizza il suolo e cambia, senz’altro scopo che l’ottener di più, il tessuto sociale, generando ansia e depressione in chi subisce.

Mi chiedo dunque se il processo di stereotipizzazione del ‘bullo’ non abbia come effetto l’esatto opposto rispetto a quello prefissato. Si giunge infatti a mostrare un carnefice e una vittima, ma non sarebbe meglio mostrare che le vittime sono molte di più, e che il confine tra carnefice e vittima è labile? Non sarebbe più corretto insegnare ai bambini e ai ragazzi a sfogare le proprie frustrazioni in maniera positiva per la collettività? A riconoscere la felicità dall’infelicità?

Ma, per fare questo, impresa utopica ma non impossibile, servirebbe una società coerente e degli adulti che diano il buon esempio. Sembra invece che, a parole, si condannino tanti atteggiamenti negativi, ma, nei fatti, si scelga di non preoccuparsene. Anziché affrontare una serie di problematiche sociali, è più conveniente pensare che il bullo lo è perché è cattivo e questo, il pensar che altri sono più cattivi e noi quelli buoni, ci fa tanto star bene con la nostra coscienza.

 

Alessandro Oppo

Alessandro è un milanese che vorrebbe scappare da Milano, è appassionato di informatica ma vorrebbe vivere senza telefono, è un artigiano eppure vorrebbe robotizzare tutto, impara una cosa e già vorrebbe studiare dell’altro. Autodidatta da sempre, gli piace sbattere la testa finché tutto non funziona come vuole lui, spesso ci riesce anche! Visita il suo blog personale alexoppo.com Il motto che si ripete dentro la testa è: “Se ci sono riusciti gli altri ci posso riuscire anche io”.

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