Oggi vedremo insieme come scrivere un saggio breve sulla tragica guerra tra Russia e Ucraina.
Ho visto online che tutti i vari siti dediti alle scuole superiori propongono temi e suggerimenti che considero banali e controproducenti.
Si sostiene infatti, in questi siti, un metodo di organizzazione del pensiero eccessivamente schematizzato.
Seppure in certi casi può fare comodo avere uno schema per i temi, c’è da tenere in considerazione che si rischia di rendere il nostro scritto freddo e poco interessante.
Sostengo, e siete liberi di non essere d’accordo, che sia più importante lasciar galoppare la fantasia e scrivere qualcosa di originale e sorprendere il lettore (e noi stessi) piuttosto che rispettare in maniera ferrea delle regolucce
Per fare esercizio puoi consultare gli altri temi presenti sul sito.
Esempio di tema svolto sulla guerra Russia – Ucraina
Le guerre possono essere di difesa o di attacco: le prime son ben documentate sui giornali nazionali, delle seconde son piene i libri di storia. Chi fa la guerra ha la necessità di giustificarla: che essa venga fatta per aver lo spazio vitale, per salvare degli alleati, per esportare la democrazia o per i diritti umani, la guerra è quel qualcosa che non è mai giusto ma che sempre viene presentato come tale.
La storia ci insegna che prima della Grande Guerra v’erano i neutralisti e gli interventisti: i primi non volevano immischiarsi nella guerra mentre i secondi erano a favore di un intervento armato. Alcuni di questi ultimi magari lo facevano per senso dell’onore o della giustizia, ma anche per tanti interessi: la guerra porta lavoro e, se si ha un’industria, è facile far cannoni e venderli allo stato. Con i cannoni si distrugge il nemico, il quale distruggerà il nostro paese con le sue armi: finita la guerra bisognerà ricostruire tutto nuovamente, e questo creerà ulteriore lavoro e – paradossale solo a pensarlo – ricchezza!
Viviamo in una società dove la distruzione causa, ahimè, benessere materiale ad alcune persone. Come può esservi la pace in un tale sistema? Come può esservi una riflessione sulla guerra, nel presente, accettando queste premesse? I media pubblicano in continuazione notizie su quanto il nemico sia cattivo e su quanto siamo noialtri dalla parte del giusto. È così in ogni guerra, e sarebbe giusto chiedersi se tale propaganda abbia senso: non sarà mica che, senza di essa, le persone penserebbero con la loro testa?
E invece no, le notizie delle bombe, dei massacri e il bollettino dei morti ci fa vivere anche a noi la guerra, e, sentendola nostra, vicina, vorremmo intervenire. Noi, col senno di poi, sappiamo che è l’interventismo a causare le guerre mondiali. Noi, col senno di oggi, ce ne siamo dimenticati. Chi dice sia colpa della Nato, dell’Ucraina o chi invece accusa completamente la Russia, rischia poi di far, degli ideali o della realpolitik, un grimaldello per legittimare ciò che andrebbe rifuggito, ovvero la violenza fisica.
Siam sempre gli stessi esseri umani delle guerre passate, e, anche se la guerra la ripudiamo, ci vien tanto comodo trasformarla in qualcosa d’altro, convincendoci che, questa volta, essa è giusta. È giusta perché siamo noi a volerla e noi stessi, si sa, siam sempre dalla parte corretta. Questa arroganza, ovvero quella di essere migliori delle persone che ci hanno precedute, forse è la principale responsabile della reiterazione delle violenze nel corso dei secoli.
Non si tratta tra il decidere se tale guerra abbia senso o meno: chi si definisce pacifista non partecipa a nessuna guerra. Diversamente da ciò si ha l’interventismo, ovvero una partecipazione attiva ad una degenerazione umana: la guerra. Un detto dice che la croce si fa con due bastoni, e questo significa che non c’è una sola ragione, ma più. Chi vedesse due bimbi bisticciare li fermerebbe incurante delle ragioni dell’uno o dell’altro, perché ben sa che l’importante non è chi ha cominciato, ma che finisca.
La guerra produce devastazione fisica e mentale per chi la vive, siano essi i vincitori o i vinti. È a chi soffre la guerra che vanno i pensieri di chi è empatico, e la naturale riflessione che segue è: come fare in modo che non vi sia più la guerra? Il nostro sistema sociale è però vittima di un malsano circolo vizioso: le armi vengono prodotte per essere acquistate e, all’occasione, anche usate.
Forse bisognerebbe insegnare che la guerra è sempre sbagliata? Già è stato fatto, ma basta un po’ di propaganda che tutti ci ricascano nuovamente. Forse bisognerebbe smettere di produrre armi, di comprarle e venderle? Tali ipotesi vengono però reputate folli, e la realpolitik si fa sentire: ma ci attaccherebbero se fossimo inoffensivi! Ammissione implicita che, ora come un tempo, l’attacco è la migliore offesa: si vis pacem, para bellum. Un’altra ipotesi sarebbe la confessione di essere bellicisti, accettare che l’intera società si basa sulla legge del più forte, e che il pesce grande mangia il pesce piccolo.
E invece viviamo in una società che si fonda sulla menzogna, che poggia le sue fondamenta su schemi machiavellici di potere, i quali poi producono tragiche conseguenze. Accettare questa dura realtà può sembrare una sconfitta, ma anche un punto di partenza per non ripetere i soliti disgraziati errori.
La nostra grandezza industriale e tecnologica ci aiuta solamente ad amplificare i danni da noi commessi, ma i motivi che ci spingono a farli rimangono sempre i medesimi.
Rimane la speranza che un giorno riusciremo a non farci ingannare dalla propaganda, a riconoscere che ogni guerra è sbagliata e che le armi, a fin di bene, non possono essere usate. Quel periodo però è lontano, remoto, e tanta strada va ancora percorsa. Oggi, come cento anni fa, vige una sola parola d’ordine, tanto ammantata di buonismo da commuovere – ma allo stesso tempo così sporca di sangue da far venire la pelle d’oca – ed essa è: intervenire! Intervenire! Intervenire per portare la pace!
Riflessione sulla Grande Guerra e l’interventismo
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